Vecchio io, vecchi loro

I miei timpani hanno più di 30 anni.
In tutto questo tempo li ho portati a casa ronzanti dal rumore degli altoparlanti un’infinità di volte. Qualche volta la colpa è stata delle chitarre dei Marlene Kuntz.
Per un’altra importante porzione del mio passato questi timpani hanno ascoltato i primi CD dei Marlene Kuntz ripetutamente: pomeriggi, notti, mattine.
Sarà per tutto questo e per il poco tempo che invece ho speso ad ascoltare le ultime cose di questi rumorosissimi ex-ragazzi piemontesi, che stasera non andrò al concerto gratuito al Rolling Stone e me starò a casa a chiedermi perchè le camicie non escono dalla lavatrice già stirate e i piatti non si lavano da soli.
Nel mio misticismo da sgrassapiatti primo prezzo, fregare le stoviglie con la schiuma al limone è un momento di riflessione, chissà che non riesca a fissare una volta per tutte quello che per tutto il giorno è stato un leggero ronzio fra gli occhi e la nuca.
Ormai il mio acufene è interno. Cronico. Voi invece mettevi davanti alle casse stasera, mi raccomando.

Miele

Una delle tante ricette per la felicità è scritta su un fagottino di carta che cade da una finestra.
Alzi la testa a sentire il tuo nome, per afferrarlo d’istinto, senza il tempo nemmeno il tempo di sorridere.
La palla di carta finisce nella tasca vicino al cuore: scontato solo per chi in questa storia protagonista non è.

La ricetta della felicità è il foglio che ha scribacchiato un medico e che ora stringi mentre sei in fila in farmacia.

A volte la felicità è tutta in quell’attimo in cui nessuno sta parlando. Tanti di quegli attimi che paiono uscire dal tempo possono cuocerti la felicità e servirtela tanto calda da scottarsi la bocca per l’ingordigia.

Si può essere felici tenendo le distanze, perdendosi di vista se gli occhi sanno sempre dove guardare.

Ci sono vuoti che duravano da tempo e che qualcosa ha riempito con la rapidità dell’acqua.

E’ solo una ricetta.

Su una torre

Se ci sono giornate per cui vale la pena di vivere, ecco, ne ho appena vissuta una: 498 gradini da farti dolere le gambe, telefoni pubblici, una bambina che disegna con la magia su una tovaglia a quadretti.
E soprattutto le cose che avresti sempre voluto sentirti dire, leggerle in un paio di occhi che non ti stanchi di guardare, e tutte quelle cose che non c’è neanche bisogno di pronunciare quando sei in cima ad una torre, sopra la nebbia.

Ormai le braccia non mi cadono più

Uno sale sul treno, incontra un sacerdote che oltre ad essere molto intelligente è anche molto onesto intellettualmente. Nonostante le tue idee lo senti dire cose che condividi.
Il prete in questione non è certo il piccolo parroco di provincia: è colto, viaggia, parla le lingue e frequenta spesso il Vaticano e l’entourage del Papa.
E’ lui a far cadere il discorso sulla politica, prima internazionale e poi italiana. Non risparmia colpi nè a destra nè a sinistra, ma se la prende in particolar modo con chi si potrebbe definire neocon e le loro pseudo crociate. La loro religiosità spiccia e opportunista, il loro credo nelle redici cristiane direttamente proporzionale ad un certo numero di voti probabili e un’immancabile dose di ignoranza e disonestà non solo intellettuale.

Saluti il prete, torni a casa e leggi che mentre eri sul treno è partita una nuova crociata dei paladini della cristianità. O ti incazzi o ti metti a ridere. Vista l’ora mi metto a ridere, per certe cose c’è sempre tempo.

Post Scriptum. Dimenticavo, neanche i capelli cadono più, o meglio cadono sempre ma non fanno notizia. Il primo capello bianco che mi ha fatto capolino oggi dallo specchio dell’ascensore invece sì.