Filosofia della parmigiana

Mentre sparavo sgrassatore come un forsennato sperando che la sola forza della chimica bastasse a far sparire le macchie di pomodoro rinsecchito dalla superficie una volta luccicante dei fornelli, contavo mentalmente quanto tempo avevo speso per cucinare la parmigiana di melanzane:
– una mezz’ora abbondante per comprare gli ingredienti necessari (se avessi preferito i commercianti di quartiere al perfido supermercato ci avrei messo qualcosa di più)
– una ora e mezza di preparazione, in buona parte spesa a grigliare melanzane nei 30° dei primi di agosto, ad un metro circa dal forno che lentamente arrivava ai 180° previsti cominciando a disperdere generosamente nell’ambiente parte del calore generato
– mezz’ora circa per sparecchiare, lavare i piatti e riporre gli avanzi (era buona, ma le mie porzioni sono quelle della nonna di un qualsiasi youtuber del sud).

Totale: 2,5 ore circa
Tempo necessario a consumare un porzione: 10 minuti (scarsi)

Ho cominciato a fare paragoni e paralleli, pensando ad esempio alle ore e ore di girato che finiscono poi per fare un’ora e mezza di film, oppure alle migliaia di ore che un nuotatore passa in vasca rinunciando a tutto il resto della propria vita per poi giocarsi il tutto in qualche minuto.
(I 9 mesi di gravidanza li ho esclusi perchè poi un figlio, di solito, ti rimane tutta la vita e l’aspettativa media di una donna in età fertile è probabilmente superiore ai 9 mesi in buona parte del mondo).

Quanto tempo ho passato a studiare i miei saggi di flauto che poi duravano massimo 5 minuti? Pomeriggi, mentre i miei amici erano ai giardinetti a giocare a pallone e imparare le prima parolacce da quelli più grandi.

Facile arrivare a conclusioni sulla tristezza della condizione umana, ma poi ho pensato che a noi essere umani piace così: quando abbiamo in testa il risultato questo diventa l’idolo a cui rimaniamo più fedeli.
Ci piace fare le cose, con le nostre mani o con la nostra testa, e quando riusciamo a fregarcene di quanto ci costa farle, queste cose, possiamo essere felici in tanti modi diversi, in una scala che va da un estremo all’altro dello spettro delle emozioni che siamo in grado di provare.

Poi ho anche pensato che la prossima volta mi faccio meno seghe mentali e vado in rosticceria.

Qui un tempo era tutta campagna

Dopo le ultime disavventure di Gmail torno ad applicazioni che rischiavano di essere spinte in soffitta dalle moderne meraviglie del cloud computing e della filosofia “tutto online” di Google.

Google Reader nasconde i siti da cui non ci sono aggiornamenti e così possono passare anche degli anni prima che ti accorga che l’ultimo post di un certo blog risale al 2007, che un sito non esiste più dal 2009 e che – oddio, leggevi davvero quella roba?!?
Per fare la conta dei caduti è bastato trasferire le mie sottoscrizioni RSS da Google Reader a Thunderbird.
Sono decine, quasi tutti sono passati nel giro di un paio di anni da 30 post al mese ad una mortale sterilità.

Li capisco, erano tempi in cui tutti aprivano il blog, tutti avevano qualcosa da dire, qualcosa di cui erano esperti.
Poi sono arrivati Facebook, i primi figli, forse anche un lavoro diverso; gli interessi si sono annacquati e si è trovato chi è più esperto ed informato degli altri.
Mi chiedo quanti usino ancora RSS, col suo essere “really simple” più a parole che nella realtà della pratica.
C’è stato un tempo, su Internet, dove ovunque c’era l’iconcina arancione con le parentesine concentriche, adesso hanno tutti il bottone blu di Facebook e si clicca “Mi piace”.

Come sempre su Internet, sono pochissimi anni, ma sembran secoli.

Zen cittadino

In questi giorni a Milano l’aria è limpida e – sorpresa rara – se guardi all’orizzonte vedi le Alpi.
Ieri andavo in macchina al lavoro e le potevo vedere in fondo a viale Melchiorre Gioia. Pensavo che ad ogni semaforo un po’ mi avvicinavo a loro e mi son perso a guardarle ad ogni rosso che ho incontrato. Se fossi andato sempre dritto ci sarei arrivato nel giro di un paio di ore.
Svoltare a destra per cercare parcheggio è stato insolitamente doloroso.

Lato A, lato B

kurt cobainFino a poco tempo fa il tempo era un muro alle tue spalle, potevi solo andare guardarti avanti e mettere un passo dopo l’altro. Da un certo punto in poi, con una rapidità che lascia stupiti, scopri che invece puoi guardarti indietro, che di spazio alle tue spalle nei hai lasciato parecchio a furia di camminare. E’ il tempo che è passato e tu ti senti, per la prima volta, vecchio.

Quella parola tabù che mai avresti immaginato di sentirti appiccicata addosso, adesso sembra riuscire a descrivere una parte di te, come ti senti in certi stupefatti momenti.
Credo che tutto questo si chiami invecchiare, e un segnale indiscutibile è quando cominciano a fare film sui uno dei tuoi miti e sai che presto ci sarà un revival degli anni della tua adolescenza e di tutte quelle cose che hai ancora nell’armadio, nelle scatole lasciate a casa dei tuoi genitori.
La vita è un autoreverse.