Le coccinelle

Le 0:28 lampeggiano sull’orologio. Questo quartiere periferico dormirebbe se un gruppo di operai vestiti di arancione non stesse martoriando l’asfalto vecchio con una macchina che fa un rumore infernale.
Domani avremo asfalto fresco. Le strisce pedonali, nuove e candide,  avranno l’ impronta dei primi usciti presto per andare al lavoro.

Qui dentro si sentono solo i respiri, due ritmi diversi.

Il più leggero alza appena appena una tutina bianca e rossa. E’ piena di coccinelle, e spero davvero che portino fortuna anche se chi le indossa non sa ancora cosa sia una coccinella.
Mia figlia non ha ha ancora imparato ad evitare gli sguardi e ti fissa dritta negli occhi, senza nemmeno un colpo di palpebra. Così io mi perdo a fissare occhi che non hanno ancora visto niente di quello che io non so nemmeno più di sapere.
Ha gli occhi di sua madre, mia figlia e già ripete qualcuno dei suoi sguardi. La prima volta che l’ho scoperto mi ha un po’ sconvolto, ma qui è tutto sottosopra, niente come sembrava dovesse essere per sempre.
Il ritmo è cambiato. Si corre più di prima e poi ci si ferma quando lei, la più piccola dei tre, decide che vuole il tuo tempo, le tue attenzioni e ti porta lontano, via dai rumori della città, via dalle corvée di uomo adulto.
Piccolo dittatore che sa farsi amare incondizionatamente anche quando decide, impone, obbliga.

Adesso che ho una donna in ogni camera della casa, non sono un uomo fortunato?

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