(Breve) picnic sul ciglio della Zona

Dove sono finiti gli scrittori russi di una volta?
Se non li avete in casa andate in una qualsiasi libreria e soppesate un romanzo di Tolstoj o Il Dottor Zivago. Sono centinaia e centinaia di pagine.
Ne L’idiota Dostoevskij ci mette 27 capitoli per raccontare una sola giornata del principe Myskin.
E chi ha scritto Anna Karenina o Guerra e Pace?

Non so se ho cominciato ad amare la letteratura russa anche per i suoi tomi voluminosi, per i fiumi di parole che Dostoevskij dettava alle sue stenografe (di cui poi si innamorava), certamente ho una certa predisposizione ad aspettarmi considerevoli risme di carta, se un libro arriva da al di là degli Urali.

Ed ecco che mi imbatto in un romanzo di fantascienza scritto da due fratelli russi nel 1972: 206 pagine, che fa più o meno 100 pagine a testa.
Troppo poco se ti buttano in un mondo altro, fantascientifico ma quasi verosimile, se ti fanno imbattere negli stalker e poi te li fanno morire tutti prima ancora che tu possa dire di conoscerli.
E che dire della Zona, questo posto di cui non vorresti certo svelare i segreti, ma delle cui leggende diventi subito avido, come un qualsiasi avventore del bar dove gli stalker tornano dopo le loro pericolose incursioni senza neanche la forza per raccontare quello che hanno visto.

Sì, il difetto di questo romanzo è che dura troppo poco, e ti lascia a chiederti che fine avrà fatto il Roscio, come stanno Gutta e la Scimmietta.
Sono comunque tutti perdenti, tutti povera gente, come li chiamava Dostoevskij.

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