Jazz! (Una dichiarazione di amore)

Doveva essere uno di quei pomeriggi da studente, un po’ abulici e malinconici, con entusiasmi fortissimi che si spegnevano improvvisamente.
I pochi soldi che giravano per le tasche andavano spartiti tra macchina, birre alla spina, affitto della sala prove, libri e dischi. Un budget elementare, ma difficilissimo da far quadrare a quell’età.

Quello non era certo il primo, di pomeriggi passati a bighellonare tra librerie e negozi di dischi, a soppesare copertine come fossero oracoli e Nuove Indie ancora inesplorate.
Non dimentico il gusto di trovarsi di fronte a qualcosa di sconosciuto pronto per te, la curiosità e la promessa di nuovo che ti straniava.

Di fronte al reparto musica jazz, passavo in rassegna i primi CD di jazz della mia vita, con le dovute reverenze e con la smania un po’ bulla di adolescente.
La copertina era una delle più brutte, un disegno scuro che a decifrarlo sembrava una pessima copia di un qualche ritratto, strano scegliere lui in mezzo a tanti ammiccamenti grafici: figure pensose, trasfigurate nello sforzo di produrre suoni, ridenti, grafiche piacevolmente retrò.

Dentro c’era una musica strana, con melodie che si frammentavano. Monk, con le sue dita tozze, pestava meno note di quanto un pianista avrebbe fatto, come se fosse controvoglia; John Coltrane, ancora giovane, dilagava con le sue prime mitragliate di note, prendeva le melodie e le spezzattava in minuscole rincorse.

La decisione di un attimo ha aperto un mondo, da allora esplorato abbondantemente, ma quel CD dalla copertina brutta e il titolo banale rimane ancora uno dei preferiti e sicuramente quello più amato.

Da ascoltare: Thelonious Monk with John Coltrane.

You want to see my p—s … again?

E’ vero, avevo bisogna una palese dimostrazione, una prova che suffragasse la mia teoria dell’imminente ritorno del grunge; ebbene: eccola!

Elden recently re-created the iconic album’s cover in the same pool at the Rose Bowl Aquatic Center in Pasadena, California, where it was originally shot — only this time, he was wearing shorts. It remains unclear as to why Elden decided to shoot this new photo.

Beh, la risposta per una volta ce l’abbiamo noi.

[via Wittgenstein]

Arena Civica, 26 luglio 2008

Giacca e cravatta. Maglietta ed occhiali da sole. Jeans e camicia.
I REM sono la parte meno caciarona del rock.

Non hanno bisogno di nulla che stupisca, la ricetta è quella semplice e tradizionale quanto basta propria dei migliori cuochi. Si sa, ad essere importanti sono gli ingredienti che devono essere genuini e ben miscelati: semplici canzoni, strofa-ritornello. Niente assoli.

La cucina è ottima: suonano bene e ci mettono l’anima.
Vecchie volpi che sono, sanno dosare le forze senza essere impostati.
Li guardi e intuisci la naturalezza di saper fare bene solo questo mestiere e la gioia un po’ infantile che rimane dopo tutti questi anni di carriera.

Tutto semplice: si divertono e fanno divertire. Il pubblico reagisce e Michael Stipe ringrazia.
Sono due ore in crescendo, compatti e sempre a fuoco come pochissimi sono capaci di essere.
Sì, c’è la scenografia ed è ottima: accompagna senza mai sovrastare, sottolinea ed esalta senza mai rubare la scena.

I bis sono generosi e anche chi – come il sottoscritto, conosceva neppure tutte le canzoni più famose se ne torna a casa riconciliato con il rock.

Ah, prima c’erano gli Editors che non sono affatto male, però non togliamo loro la sacrosanta gavetta prima del giudizio definitivo.