Il luogo in cui sei nato e sei cresciuto, dove hai passato quegli anni così importanti per diventare adulto, ti rimane dentro che tu lo voglia o no.
Milanese da ormai molti anni, continuo a sentirmi vogherese, senza particolare orgoglio nè vergogna.
Per caso è successo che i miei genitori mi abbiano fatto nascere lì piuttosto che altrove e per caso lì sono stato per quasi 3/4 della mia vita. Non ho merito nè colpa per essere vogherese piuttosto che altro. Penso quindi di riuscire a parlare della mia cittadina natale senza campanilismo o senza il disprezzo di tanti che lasciano la provincia per la città .
E’ un posto semplice, operoso ma allo stesso tempo sonnacchioso come tanti altri sparsi per la provincia, senza peculiarità che lo facciano risaltare.
E così per tanti Voghera è ancora la patria della famosa casalinga e al massimo ci aggiungono un commento educato sulla bellezza delle colline circostanti e sulla bontà dei vini della zona.
Una cittadina ideale per sua offerta di servizi, per le sue dimensioni a misura d’uomo, per la mancanza di traffico, la sua vicinanza alle montagne, al mare e a Milano, la mancanza di grossi problemi di sicurezza e così via dicendo.
Una provincia da manuale, dove il centro si desertifica quando i negozi chiudono e la domenica si va tutti al mega centro commerciale che ormai ha raggiunto le dimensioni di un paese oppure a mangiare il gelato nell’unica località turistica nel raggio di qualche chilometro.
Un posto dove i vogheresi sembrano non voler stare, ma dove invece rimangono ancorati e dove ritornano anche se la loro vita li porta altrove.
E così ecco che ieri sera ho scoperto che Voghera, dopo la sua paradigmatica casalinga, può diventare paradigma lei stessa nell’immaginario collettivo:
La striscia di Tartarotti è, come sempre, molto divertente.