Di solito critico Libero o il Giornale, ma oggi qualcuno mi spieghi questo titolo, perchè io non ho voglia di capirlo:
Ho chiuso il mio account Facebook, vediamo se è tragica.
Progressivamente ho cominciato ad evitare di scorrere la mia timeline giusto per passare il tempo, sostituendo questo piccolo gesto scaccia noia con la lettura del mio aggregatore RSS (che fa tanto vecchio web) o semplicemente tenendo il telefono in tasca.
Per adesso sto bene e non ho perso neanche un amico. Seguirà aggiornamento.
Facebook nel frattempo mi dice che non è che cancella subito l’account, me lo congela per un po’ e se voglio tornare lui mi accoglie a braccia aperte.
Nei miei continui disperati tentativi di affrancarmi il più possibile da servizi esterni con dubbio rispetto della privacy, mi sono imbattuto in Shaarli.
Dalle prime prove su strada sembra un ottimo strumento per salvare ed eventualmente condividere i propri segnalibri, un po’ come faceva il compianto Delicio.us.
Da tempo a questo scopo uso Pocket, relativamente tranquillizzato dal fatto che sia stato acquisito da Mozilla.
Volendo però provare un’installazione di Shaarli sul mio hosting, ho voluto provare a importare tutta la mia lista di Pocket.
La procedura di esportazione dei segnalibri in Pocket richiede un solo clic e genera un semplice file HTML, ma Shaarli si rifiuta di importarlo lamentandosi di un formato non corretto.
Cercando in rete ho trovato un template di una esportazione in formato Netscape.
Ho provato a modificare il file generato da Pocket come segue:
modificato il DOCTYPE (riga 1) come segue:
<!DOCTYPE NETSCAPE-Bookmark-file-1>
I segnalibri sono inclusi in una lista, ho modificato i tag così (qualsiasi editor di testo con la funzione trova & sostituisci sarà più che sufficiente):
<ul> ----> <dl> </ul> ---> </dl> <li> ----> <dl> </li> ---> </li> <tags> --> <TAGS> (in maiuscolo)
Una volta salvato il file verrà importato senza problemi da Shaarli con le tags correttamente impostate.
E’ quasi sempre bieco e inquietante, ma a Natale sono tutti più buoni e così ha deciso di strapparci un sorriso.
Con la stessa disinvoltura con cui passa dalla felpa alla camicia bianca, dopo aver firmato la postfazione di un libercolo contro l’euro solo qualche mese fa, adesso Matteo Salvini è favorevole alla moneta unica.
Finalmente Apple ha ammesso tra i denti quello che la maggior parte degli utenti sospettava già da tempo: gli aggiornamenti di iOS limitano intenzionalmente le prestazioni del dispositivo dopo un certo lasso di tempo.
Quella di un progressivo rallentamento del proprio dispositivo non è quindi solo un’impressione, ma un dato reale.
Apple sostiene (come sempre) di farlo per il bene degli utenti: limitare le prestazioni del processore nei picchi di utilizzo manterrebbe efficiente più a lungo la batteria, vero tallone di achille di ogni dispositivo mobile.
Come al solito, Apple si arroga il diritto di scegliere cosa è meglio per i suoi utenti senza nemmeno informarli nè tantomeno dar loro possibilità di scelta.
In questo caso il conflitto di interessi è ovvio: chi produce e vende l’hardware è lo stesso soggetto che gestisce in maniera diretta ed indiretta tutto il software che può essere installato sul dispositivo.
Un dispositivo che perde progressivamente reattività creerà nell’utente il desiderio di un prodotto più nuovo che possa garantire prestazioni migliori, almeno fino a quando Apple non deciderà che è ora di cambiarlo con un modello successivo.
Quello che Apple ha messo in atto è vera e propria obsolescenza programmata, come un produttore di lavatrici qualsiasi.
Verrebbe da buttare il vecchio iPhone alle ortiche e buttarsi a capofitto su uno dei tanti scintillanti smartphone Android acquistabili a prezzi più popolari, ma chi ha voglia di buttarsi completamente nelle braccia onnipotenti e onnipresenti di Google?
Aggiornamento: secondo quanto riferisce Wired.com, Apple avrebbe cominciato il throttling solo nell’ultimo anno e per i modelli dal 6 in avanti, quindi se il vostro 4s è un mattone, ha fatto tutto da solo (o quasi).
L’articolo di Wired succitato ragiona un po’ meno a caldo sull’argomento.